mercoledì 15 settembre 2010

I PROMESSI SPOSI (LA MONACA DI MONZA)

“I PROMESSI SPOSI”

CAPITOLO IX (SINTESI)



Questo capitolo si divide in tre parti. La prima è occupata dal viaggio notturno in baroccio verso Monza, dove i tre fuggiaschi, ovvero Renzo, Lucia e Agnese (la madre di Lucia), arrivano all’alba dell’11 novembre 1628 e dove, preso alloggio in una locanda, fanno colazione. E’ l’ultima volta che i due promessi sposi stanno insieme: li attende infatti una lunga separazione. Mentre Renzo parte per Milano, il barocciaio, seguendo le istruzioni di fra Cristoforo, conduce Agnese e Lucia presso il convento dei cappuccini.

La seconda parte riguarda l’incontro di Agnese e Lucia con la monaca di Monza, Gertrude, chiamata la Signora. Il personaggio della monaca di Monza è modellato sulla figura storica di Marianna de Leyva, vissuta tra il 1575 e il 1650, nipote del primo governatore spagnolo di Milano, costretta dalla famiglia a farsi monaca assumendo il nome di suor Virginia. La vicenda di Gertrude recupera in molti punti le pagine dedicate a suor Virginia dallo storico milanese Giuseppe Ripamonti nell’opera “Historiae Patriae” che raccontano la relazione tra suor Virginia e Giovanni Paolo Osio, i delitti di quest’ultimo, il processo ai due amanti, sino alla morte di Osio, e il pentimento della “signora”, favorito da un colloquio con il cardinale Borromeo.

Il padre guardiano che dirige il convento dei cappuccini pensa infatti di rivolgersi a lei perché ospiti le due donne nel monastero. Avuto un assenso di massima, Agnese e Lucia sono ammesse alla presenza della strana Signora (“Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta.”), che rivolge alla ragazza alcune domande imbarazzanti circa il tentativo di seduzione messo in atto da Don Rodrigo. D’altronde il modo di vestire e di agire della monaca presenta aspetti irrituali e rivela un carattere sofferente, inquieto, irascibile e superbo (“- Siete ben pronta a parlare senz’essere interrogata, - interruppe la signora, con un atto altero e iracondo, che la fece quasi parer brutta. – State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de’ loro figliuoli!”).

La terza parte del capitolo è occupata, per analessi, dalla storia di Gertrude, dal momento della nascita a quello della sua prima entrata in monastero a sei anni fino a quello del ritorno a casa, per un mese, otto anni dopo. E’ la storia di una monacazione coatta. Il padre vuole indurla a farsi monaca in modo da lasciare tutto il patrimonio al primogenito. Gli errori di Gertrude (che, fra l’altro, scrive una lettera d’amore a un paggio, intercettata dal padre) fanno nascere in lei un senso di colpa che favorisce la sua capitolazione di fronte alla implacabile volontà paterna.

(“Si paragonava allora con le compagne […] Invidiandole, le odiava: talvolta l’odio s’esalava in dispetti, in isgarbatezze, in motti pungenti.” “Tra queste deplorabili guerricciole con sé e con gli altri, aveva varcata la puerizia, e s’inoltrava in quell’età così critica, nella quale par che entri nell’animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna, rinvigorisce tutte l’inclinazioni, tutte l’idee, e qualche volta le trasforma, o le rivolge a un corso impreveduto.” “L’infelice, sopraffatta da terrori confusi, e compresa da una confusa idea di doveri, s’immaginava che la sua ripugnanza al chiostro, e la resistenza all’insinuazioni de’ suoi maggiori, nella scelta dello stato, fossero una colpa; e prometteva in cuor suo d’espiarla, chiudendosi volontariamente nel chiostro.”)



“I PROMESSI SPOSI”

CAPITOLO X (SINTESI)



In questo capitolo continua, sin quasi alla fine, la storia di Gertrude. Vi si possono distinguere due diversi momenti: il primo va dalla lettera al padre alla monacazione, mentre il secondo racconta la vita della Signora al monastero e la tresca con Egidio. Il capitolo si conclude ponendo termine all’analessi e tornando a Lucia e Agnese.

Nel primo momento il principe padre rivela tutta la sua sciagurata abilità nell’approfittare di qualunque cedimento della figlia per imporle la propria volontà; così interpreta subito la lettera di Gertrude come una dichiarazione di adesione alla prospettiva conventuale, e chiama immediatamente come testimoni di essa il figlio e la moglie in modo da compromettere pubblicamente la ragazza. Poi Gertrude viene condotta al convento per la richiesta di accettazione e qui, come ipnotizzata dallo sguardo del padre, chiede di vestire l’abito religioso. Infine conferma anche al vicario la sua intenzione di farsi monaca. Così sfuma ogni occasione che avrebbe potuto utilizzare per opporsi al padre, e non le resta che entrare per sempre in convento. (“Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sull’animo della poveretta, come lo scorrere di una mano ruvida sur una ferita.” “A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita. Ora ripensava come mai quel sì che le era scappato, avesse potuto significar tanto, ora cercava se ci fosse maniera di riprenderlo, di ristringerne il senso; ma la persuasione del principe pareva così intera, la sua gioia così gelosa, la benignità così condizionata, che Gertrude non osò proferire una parola che potesse turbarle menomamente.” “Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di risentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre.”).

Il secondo momento rappresenta l’inquietudine e l’insofferenza della ragazza una volta divenuta monaca. Nominata maestra delle educande, si sfoga con loro, ora con eccessivo rigore e quasi con crudeltà, ora, invece, con sfrenato cameratismo. Da’ inizio poi a una tresca amorosa con un giovane dissipato, Egidio, che abita in un palazzo confinante con il convento. (“Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. […] Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.”

“Historiae Patriae”: “Era contigua al monastero una casa, la cui parte posteriore e nascosta si affacciava su un cortiletto, dove le educande si ricreavano e giocavano durante i momenti di svago. Il padrone della casa, giovane e ricco e ozioso, guardando spesso da quella parte, mise gli occhi per caso su di una e ebbero colloqui amorosi. Ma presto questa, siccome ormai era da marito, fu condotta dai suoi fuori dal monastero e fu data in moglie a qualcuno. Il seduttore, essendogli stato tolto questo pascolo per gli occhi e lo svago all’ozio, rivolse alla maestra quella specie di amore e di passione che aveva concepito dall’intimità con l’allieva. Né ci volle molto. Trovarono facilmente la via per la colpa, a cui si arriva tanto vicino partendo da sentimenti e colloqui di quel tipo. Per alcuni anni la faccenda rimase segreta: e traforata una parete e aperto un accesso coniugale nella camera da letto della signora, agirono con libertà quasi coniugale: furono generati dei figli.”).

Una conversa che l’aveva scoperta viene uccisa dai due amanti, trasformandosi poi, nel rimorso che assilla la sventurata, in fantasma persecutorio. (“Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava. Quante volte al giorno l’immagine di quella donna veniva a cacciarsi d’improvviso nella sua mente, e si piantava lì, e non voleva muoversi! Quante volte avrebbe desiderato di vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che averla sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno e notte, in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile! Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei, qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver sempre nell’intimo dell’orecchio mentale il susurro fantastico di quella stessa voce, e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con un’insistenza infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai!”).

Un anno dopo il delitto, Lucia e Agnese arrivano al convento. La digressione è chiusa. Lucia è stupita delle domande insistenti che la Signora le fa su don Rodrigo e su Renzo, ma la madre le dice di non preoccuparsi: i signori son tutti un po’ matti.





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